UN PASSO VERSO LA CURA DELL’ALZHEIMER

UN PASSO VERSO LA CURA DELL’ALZHEIMER

UN PASSO VERSO LA CURA DELL’ALZHEIMER

Quali sono le cause e i sintomi dell’Alzheimer?

La malattia di Alzheimer è la causa più comune di demenza senile. Si pensa che l’origine di questa patologia sia legata all’alterazione di una proteina che, per ragioni ancora non conosciute, a un certo punto in alcune persone inizia a venire metabolizzata in modo alterato portando alla formazione di una sostanza, detta beta amiloide, che, aggregandosi forma delle placche che portano a morte neuronale. Questo meccanismo porta a un deterioramento irreversibile delle funzioni cognitive, quali memoria, ragionamento e linguaggio. I sintomi in realtà sono molto variabili da soggetto a soggetto. Il più precoce è solitamente la perdita di memoria, prima in forma poco rilevabile, poi sempre più importante con la progressione della patologia. Alla perdita di memoria solitamente si associano altri disturbi come difficoltà nell’esecuzione delle attività quotidiane con progressiva perdita dell’autonomia, disturbi del linguaggio, disorientamento, depressione, disturbi del sonno. Può inoltre succedere che il soggetto ammalato subisca un’alterazione della personalità, mostrando, ad esempio, meno interesse per il proprio lavoro o per i propri hobby.

Prevenzione

Ad oggi non esiste una vera e propria prevenzione nei confronti dello sviluppo della malattia di Alzheimer. Diversi studi suggeriscono che il rischio della malattia possa essere ridotto prevenendo patologie che interessano il sistema cardiovascolare (malattie cardiache, sovrappeso e diabete). Le strategie da perseguire per il benessere cerebrale e cognitivo sono quindi essenzialmente una dieta equilibrata, attività fisica e un’appropriata stimolazione cognitiva.

Diagnosi

Per porre una diagnosi di Alzheimer è necessario sottoporre il paziente a degli esami che siano in grado di rilevare l’accumulo della proteina neurotossica. Meno del 5% dei casi di Alzheimer sono forme familiari causate dalla presenza di un gene alterato che ne determina la trasmissione da una generazione all’altra di una stessa famiglia. Queste forme hanno un’insorgenza più precoce, anche prima dei 40 anni. Il restante 95% dei casi invece si manifesta in modo “sporadico”, ovvero in persone che non hanno una chiara familiarità con la patologia, e più tardivamente.

Trattamenti 

I farmaci attualmente in uso sono volti principalmente a migliorare i sintomi della depressione, dei disturbi comportamentali (deliri, allucinazioni, agitazione) e del sonno.

Recentemente però la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato il lecanemab come farmaco per la cura dell’Alzheimer. Si tratta di un anticorpo studiato per dire al sistema immunitario di eliminare le placche di beta amiloide dal cervello. Questo farmaco rappresenta un trattamento innovativo perché punta a ridurre il declino cognitivo provocato dalla malattia in pazienti che non hanno ancora raggiunto uno stadio molto avanzato.  I ricercatori ne hanno valutato l’efficacia in uno studio in doppio cieco condotto su 856 pazienti con decadimento cognitivo lieve. Nei pazienti che hanno ricevuto la dose, ogni due settimane si è registrata una riduzione “statisticamente significativa” delle placche rispetto al gruppo placebo, che invece non ha riportato alcuna riduzione. Tuttavia si stima che il trattamento avrà un costo di 26.500 dollari all’anno, con non pochi dubbi: esso ha infatti provocato reazioni correlate all’infusione, anomalie di imaging con edema o effusioni, rischio di emorragia cerebrale e di gonfiore del cervello. Si tratta in ogni caso di un traguardo importantissimo per la comunità scientifica poiché i tentativi finora realizzati hanno quasi sempre fallito.

Infine si è dimostrata utile anche la terapia non farmacologica, di cui fanno parte:

  • la “Reality Orientation Therapy” (ROT): ha come obiettivo fondamentale quello di rafforzare le informazioni di base del paziente rispetto alle coordinate spazio-temporali ed alla storia personale tramite ripetute stimolazioni verbali, visive, scritte, musicali. In questo modo si riduce la tendenza all’isolamento rendendo il soggetto ancora partecipe alle relazioni sociali e all’ambiente che lo circonda.
  • la terapia occupazionale: è finalizzata a favorire un processo di rimotivazione e un aumento dell’autostima del malato al fine di preservare il mantenimento dello stato funzionale e di indipendenza e di controllare i disturbi del comportamento.
  • la musicoterapia/arte-terapia: può aiutare il soggetto a socializzare e ad esprimere il dolore.

 

Fonti:

  • Tiraboschi P. et al., The importance of neuritic plaques and tangles to the development and evolution of AD, in Neurology, vol. 62, n. 11, giugno 2004, pp. 1984–9, PMID 15184601.
  • B. Reiss et al., Role of HMG-CoA reductase inhibitors in neurological disorders: progress to date, in Drugs, vol. 67, n. 15, 2007, pp. 2111–20, DOI:10.2165/00003495-200767150-00001, PMID 17927279.
  • S Food and Drug Administration